“Dispiegò le sue ali – descrivendo un arco – dibattendosi si sollevò ancora.”
Il personaggio di Natàlia, protagonista del romanzo di Mercè Rodoreda, guida in un flusso di coscienza spagnolo, che potrebbe rinviare, seppure in altro contesto, allo stream of consciousness di Virginia Woolf, scorrendo attraverso gli avvenimenti dolorosi della vita. Quimet, il marito, è un falegname ebanista, uomo rozzo, prepotente e lunatico. La sua militanza e la sua morte sul fronte repubblicano dell’Aragona gettano Natàlia nella povertà. Patisce la fame insieme ai suoi due figli, Antoni e Rita, durante la tragedia della Repubblica e del fronte popolare. La guerra civile (1936-1939), con i nazionalisti vittoriosi che aprono la Spagna e la Catalogna alla dittatura di Franco, è riportata in una sorta di monologo stilistico interiore di grande spessore, non privo di introspezione e forza.
Tutto inizia con un accordo di festa in musica sulla piazza del Diamante nel quartiere popolare di Gràcia nella Barcellona degli anni trenta. Natàlia, giovane vestita di bianco come una colomba e, come colomba, mansueta e timida, si lascia sedurre, ballando un paso doble con il giovane Quimet, sfrontato e insistente: “Balliamo?” Natàlia accetta e lui comincia da subito a chiamarla Colombetta. Si sposano poco dopo. “Oggi facciamo un figlio.” Nasce il piccolo Toni. Un giorno Quimet raccoglie un colombo ferito e lo cura. Trasforma la casa in una colombaia e si mette ad allevare colombi che invadono tutti gli spazi. Dopo un anno e mezzo nasce la piccola Rita. Il lavoro di Quimet, che sino ad allora era andato bene, incomincia a scarseggiare. Il suo carattere si inasprisce e la mansueta Natàlia per quadrare il bilancio domestico, due figli, quaranta coppie di colombi e un marito grossolano e dispotico, si trova un lavoro come domestica. Un giorno Quimet le dice che le cose andavano molto male e che sarebbe dovuto partire con le milizie per il fronte d’Aragona.
Cosa che fa. Muore poco dopo e Natàlia si ritrova vedova. Libera tutti i colombi. Ed ecco una prima piccola rivolta. La guerra si intensifica. Incominciano a mancare i viveri e Natàlia si sente venire meno con i due figli sempre più deboli e affamati. Il droghiere del quartiere, il signor Antoni, uomo solo, buono e giusto, le propone di andare a vivere con lui portando i bambini. Natàlia accetta: si compone una quieta famiglia. Ma l’inconscio del suo vissuto lavora. Una mattina all’alba, Natàlia esce di casa, vagabondando, quasi in trance, si ritrova nella piazza del Diamante, dove la sua storia ha avuto inizio, e si libera, con un improvviso urlo, straziato, alto, infinito, del suo opprimente passato e della sua gioventù, trovando una libertà e una pace mai provate. Leggera ora, può volare. La piazza del Diamante è considerato il finissimo capolavoro di Mercè Rodoreda, scrittrice in lingua catalana (Barcellona, 1908-1983), apparso nel 1962. Alla disfatta della Repubblica, l’autrice lascia Barcellona e si rifugia a Parigi. In seguito si stabilisce a Ginevra, per ritornare poi a Barcellona nel 1970.
In due parole: Gabriel García Marquez lo ha definito “il romanzo più bello che sia mai stato pubblicato in Spagna dopo la guerra civile” .
Scheda di CARLO MARTEGANI
MERCÈ RODOREDA
LA PIAZZA DEL DIAMANTE
Traduzione di Giuseppe Taviani
Editore: LA NUOVA FRONTIERA 2009
Prima edizione italiana: Bollati Boringhieri 1990
Numero di pagine: 223
Prezzo: € 15,00
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