William Blacker è anglo-irlandese e questo spiega molto del fascino che emana da questo suo primo libro, un gioiello molto “adelphiano” per levità di scrittura, ibridazione di generi (romanzo? libro di viaggio? reportage etnografico? storia d’amore?), mood elegiaco. Dell’inglese l’autore ha la passione per l’avventura, la curiosità per terre e genti sconosciute, il mettersi in gioco per puro gusto della sfida; dell’irlandese l’irruente senso dell’ingiustizia, dei torti da riparare, la passionalità, una bizzarria sotto traccia ma costante, la gioia della divagazione narrativa.
Siamo nel 1989, il Muro di Berlino è appena caduto e Blacker decide di partire alla volta dell’Est europeo per conoscerlo prima che la contemporaneità occidentale lo stravolga. Prende la sua macchinina, attraversa il tunnel della Manica, arriva a Berlino in pieno inverno e di qui rapidamente a Praga. Dove sente parlare degli ultimi capolavori dell’arte bizantina, i monasteri dipinti della Moldavia, la vecchia Bucovina dell’Impero austro-ungarico, poi passata alla Romania. E verso la Romania, dove si è appena conclusa la rivoluzione contro Ceauşescu scatenata dall’eccidio di Timişoara, prosegue il suo viaggio. Arriva in posti dai nomi evocativi: Transilvania, Maramureş, Terra dei Sassoni (un’enclave di etnia tedesca, di origine sveva e sassone, costituitasi più di ottocento anni fa in splendidi borghi medioevali nella zona dei Carpazi)… “Avevo trovato l’Europa orientale fantasticata da bambino leggendo le favole russe: quella dei capanni di legno ai margini di foreste popolate da lupi e orsi, con la neve, le slitte, le giacche di pecora, le bluse ricamate, le donne coi fazzoletti in testa (…) i resti di un mondo antico, un mondo medioevale, isolato grazie alle montagne e alla foresta (…) E ci ero capitato per puro caso.” Dopo il primo viaggio invernale, fra quei monti e quelle colline Blacker resterà a lungo, dal 1996 al 2008, spostandosi ripetutamente dalle valli e dai villaggi del distretto di Maramureş, dove stringe un’amicizia filiale col patriarcale contadino Mihai e la sua famiglia, alla Terra dei Sassoni, ormai occupata prevalentemente dai rom dopo il rientro in Germania, fra il 1989 e il 1990, della maggior parte della comunità tedesca, già fiorente e immutata nei secoli (di essa racconta anche Magris in Danubio; da essa provengono il premio Nobel per la letteratura Hertha Müller, il grande poeta Celan e lo scrittore Dieter Schlesak, autore dell’inquietante Il farmacista di Auschwitz, Garzanti). Con gli zingari stringerà amicizie e amori, in particolare con due seducenti sorelle, Natalia e Marishka: con quest’ultima convivrà a lungo e avrà un figlio, Costantin.
Entro questa cornice si svolge il percorso del libro, che senza un itinerario preciso (la trama, piuttosto divagante, ruota attorno ai difficili rapporti dei rom con parte della popolazione e alle violenze di una polizia non ancora del tutto depurata dopo la rivoluzione) racconta il fluire della vita dell’autore e dei suoi compagni zingari, rumeni e tedeschi. Descrive il passaggio da un mondo arcaico e magico, con la sua sapienza (“Mihai (…) era uno di quegli anziani contadini rumeni che, pur non essendo mai andati a scuola, sono più informati e saggi di molti di noi e, soprattutto, conoscono il grande segreto di saper essere felici con poco”), i suoi rituali, le sue diffidenze e i suoi pregiudizi, all’inevitabile modernizzazione secondo il modello occidentale. Si comincia con la strada asfaltata, che non consentirà più ai bambini e agli animali domestici di giocare e correre e aggirarsi tranquillamente per il villaggio, e poi arriverà la televisione, che impone progressivamente nuovi bisogni e necessità di maggiori guadagni per soddisfarli, e infine si abbandonano le campagne e si emigra verso le città o all’estero, come l’irrequieta e affascinante Natalia. In questa transizione Blacker impara a diventare contadino, osserva partecipe cerimonie e feste (gli zingari ballano e suonano tutte le sere), restaura case abbandonate, frequenta mercati, lotta con poliziotti corrotti e violenti, cerca di mediare nei conflitti interetnici, cammina e cavalca, vive a contatto della natura.
È un libro che un tempo si sarebbe forse detto regressivo, per l’idealizzazione del mondo premoderno, nonostante i molti episodi drammatici di cui dà conto. Ma vivendo gli esiti attuali del nostro decantato “modello di sviluppo” anche questo aspetto del libro fa riflettere. In ogni caso quella che soprattutto affascina è la scrittura di Blacker, la sua semplice immediatezza, l’andamento colloquiale anche quando il discorso si allarga all’idillio contemplativo, la serenità di fondo di chi vive liberamente, seguendo le proprie inclinazioni. Come Leigh Fermor, maestro riconosciuto, e Bruce Chatwin, rievocato astutamente nel titolo italiano (che ammicca a Le vie dei canti).
Dopo la separazione da Marishka Blacker si divide fra Inghilterra, Romania e Toscana, e fa l’architetto.
In due parole: Alla ricerca del paradiso perduto. In Transilvania.
Scheda di GIANANDREA PICCIOLI
WILLIAM BLACKER
LUNGO LA VIA INCANTATA
Traduzione di Mariagrazia Gini
Editore: ADELPHI
Numero di pagine: 335
Prezzo: € 23,00
Categories: Lo Scaffale Segreto