Il 13 settembre scorso, a Venezia, il 33enne Giorgio Fontana ha stravinto a sorpresa la 52esima edizione del Premio Campiello con Morte di un uomo felice. Con 107 voti su 291, lo scrittore è tra i più giovani ad aggiudicarsi il primo posto nella storia del Premio.
“Grazie ai lettori e grazie al mio editore, un premio che mi spinge a lavorare di più e meglio. Fa parte della mia etica di scrittore. Quando si finisce un libro bisogna chiudere la porta dietro di se, ma quando si riapre occorre qualcuno che ti aspetti”.
Con le sue quasi 300 pagine, Morte di un uomo felice racconta la storia di un magistrato che indaga sull’attività di una banda armata responsabile dell’omicidio di un politico democristiano.
Ambientato a Milano nel 1981, il romanzo ha per protagonista Giacomo Colnaghi, un giudice “impegnato”, con un’etica impeccabile e una totale dedizione al suo lavoro e alla ricerca della verità. Vive accampato in un monolocale nella periferia orientale di Milano, spostandosi in bicicletta e trascorrendo la maggior parte del suo tempo dietro la scrivania con la sola eccezione dell’appuntamento del mercoledì sera al bar. A soli trentasette anni, Colnaghi ha sacrificato ormai da tempo la sua vita privata per dedicarsi al duro lavoro tra le mura del Palazzo di giustizia. È sposato e ha due bambini, ma riesce a raggiungere la sua famiglia solo una volta a settimana perché vuole e deve risolvere al più presto l’inchiesta sul terrorismo rosso che gli è stata affidata. Morte di un uomo felice è infatti la storia del terrorismo italiano agli inizi degli anni ’80 e della Resistenza delle fabbriche di Saronno. È un racconto che parla di magistratura e di giustizia. È la storia di un uomo, figlio di un partigiano morto durante la Resistenza; è la vita di un marito e di un padre, che cerca nelle difficoltà quotidiane di rianimare il suo rapporto con la famiglia e i suoi sentimenti irrisolti.
“Da piccoli, per me e mia sorella, era una specie di ossessione. Era nostra madre a dirci quando e come farla. Non so perché te lo racconto, in effetti. Ma sarebbe bello che tutti, almeno una volta ogni tanto, si mettessero lì a elencare le proprie mancanze, con calma, e cercare di capire come porvi rimedio. No?”
Giorgio Fontana racconta quella che Francesco Morgando ha definito “la riflessione sulla storia”. Una storia degli anni ’80, la fine di un’era attraversata dal binomio inesplicabile di potere e repressione. Colnaghi porta avanti una ricerca morale prima ancora di indagare sul reato, cercando di capire cosa porta a tanta violenza e perché.
«Giorgio Fontana ha scritto un romanzo – lucido, bellissimo – che ancora mancava. Un romanzo che stavo aspettando. Attraverso la storia del magistrato Colnaghi, il suo sguardo, la sua solitudine, riesce a penetrare la dimensione della vita quotidiana al tempo del terrorismo… Che questo libro delicato, tagliente e doloroso sia stato scritto da un narratore italiano nato nel 1981, lo stesso anno in cui il suo protagonista viene assassinato, è per me fonte di consolazione. E di speranza» (Benedetta Tobagi).
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